* Tratto da un contributo del Prof. Gaetano Edoardo Napoli
La vaccinazione delle persone incapaci ricoverate: decreto legge 5 gennaio 2021 n. 1
Appare opportuna qualche riflessione sul decreto legge 5 gennaio 2021 n. 1 relativo alla somministrazione del vaccino alle persone ricoverate.
Il testo legislativo citato ha di certo contribuito alla vivacità del dibattito sui vaccini anti Covid-19,
L’art. 5 si riferisce agli incapaci che si trovino ricoverati presso strutture sanitarie assistite (R.S.A.).
Vi si trova la disciplina per la manifestazione del consenso al trattamento sanitario della vaccinazione anti Covid-19.
Somministrazione del vaccino e incapacità giudizialmente dichiarata
Il testo si riferisce, nel suo esordio, alla persona giudizialmente dichiarata incapace.
Si ha riguardo a chi è sottoposto a interdizione, inabilitazione, o amministrazione di sostegno.
In seguito al provvedimento giudiziale, la persona riceve tutela attraverso un tutore, un curatore, o un amministratore di sostegno.
Tale soggetto è incaricato di rappresentarla, ovvero di assisterla affiancandola, al fine del compimento degli atti.
Questa persona incapace esprime il proprio consenso alla vaccinazione a mezzo di chi riveste questo ufficio di protezione.
Se manca un provvedimento giudiziale a cui far riferimento, il consenso è manifestato dal fiduciario indicato nelle DAT.
Si fa quindi riferimento alle Disposizioni Anticipate di Trattamento disciplinate dalla legge n. 219 del 2017.
Queste vengono redatte dal soggetto in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi.
Con le DAT la persona può esprimere la volontà di accettare o rifiutare determinati trattamenti sanitari (ad esempio, la vaccinazione).
Sempre con le DAT, la persona può indicare un soggetto di fiducia che rappresenti al medico la volontà stessa.
L’importanza dell’autodeterminazione in relazione alle scelte terapeutiche
Anche in mancanza di DAT, si deve rispettare la volontà che il soggetto avrebbe espresso qualora fosse stato capace.
A tal fine, rileva la ricostruzione in via presuntiva della volontà dell’interessato.
Il decreto legge n. 1 del 2021 mette in primo piano i principi proclamati dalla suddetta legge n. 219 del 2017.
Rileva innanzitutto la valorizzazione della capacità di comprensione e di decisione dell’incapace.
Si fa inoltre rinvio ai principi della Costituzione in materia.
Si tratta dei seguenti articoli:
- 2 (tutela dei diritti inviolabili della persona);
- 13 (tutela della libertà personale);
- 32 (tutela della salute e dell’autodeterminazione terapeutica)
Si rinvia altresì ai diritti alla dignità, alla vita, all’integrità personale e all’autodeterminazione in caso di trattamenti medici.
Questi ultimi sono previsti nei primi tre articoli della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Altra norma richiamata è l’art. 3 della legge del 2017.
Questa disposizione a più riprese evidenzia la necessaria centralità dell’autodeterminazione in materia di trattamenti sanitari.
Il coinvolgimento dell’interdetto nelle scelte terapeutiche
La volontà rileva anche in caso di grave e abituale infermità di mente che ha condotto all’interdizione.
Sebbene sia applicata la massima misura di limitazione della capacità di agire, la persona deve comunque essere coinvolta nella scelta terapeutica.
La centralità del consenso dell’inabilitato alla vaccinazione
Di conseguenza, pieno deve essere il diritto di scelta dell’interessato destinatario di provvedimenti giudiziali meno gravi.
Si fa riferimento all’inabilitazione e all’amministrazione di sostegno.
Emerge, a tal proposito, una contraddizione tra il d.l. n. 1 del 2021 e la legge del 2017, richiamata dal primo.
Quest’ultima assegna piena capacità all’inabilitato in ordine all’autodeterminazione terapeutica.
Invece, il decreto legge in esame sembra affidare un decisivo ruolo al curatore dell’inabilitato.
La discrasia non può che risolversi sulla base dei principi proclamati dall’intero sistema legislativo (e dello stesso decreto legge del 2021).
Si deve tener conto anche della riforma del sistema delle incapacità giudizialmente dichiarate (legge 9 gennaio 2004, n. 6).
Per altro, a tale riforma ha dato seguito la giurisprudenza, dimostrando piena sensibilità alla tutela della volontà, quindi della dignità, della persona.
L’inabilitazione è uno strumento che comporta l’affiancamento dell’incapace con un curatore, con compiti di “assistenza” per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione.
Quindi l’inabilitato (come disposto dalla legge n. 219 del 2017) deve aver pieno potere di decidere in ordine ai trattamenti sanitari (compresa la vaccinazione).
Somministrazione del vaccino e amministrazione di sostegno
Altra notazione deve svolgersi con riferimento al soggetto beneficiario di una amministrazione di sostegno.
Si ricorda, in proposito, che il termine “beneficiario” dà la misura del fondamentale rilievo assegnato alla dignità della persona.
Il termine è stato introdotto dalla citata legge del 2004 che ha previsto questo strumento di protezione.
Con riferimento ai trattamenti sanitari su una persona soggetta ad amministrazione di sostegno, devono essere seguiti i principi generali di applicazione di questo strumento di tutela.
Devono anche essere osservate le norme della legge del 2017 sui trattamenti sanitari a beneficio di incapaci.
Se è nominato un amministratore di sostegno, la nomina può prevedere l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario.
Il consenso informato deve allora essere espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo.
Risulta imprescindibile tener conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere.
L’intervento, ai fini della vaccinazione, dell’amministratore di sostegno, in affiancamento (il consenso è espresso “anche” dall’amministratore di sostegno) o in rappresentanza (ovvero solo da quest’ultimo) è ammesso nel solo caso in cui il decreto di nomina indichi specifici compiti dell’amministratore stesso in ordine alle scelte terapeutiche a tutela del beneficiario.
Ciò non può aversi se nel decreto di nomina non compare alcun ruolo relativo alle decisioni in ambito sanitario.
In tal caso è esclusa ogni limitazione alla libera autodeterminazione terapeutica della persona sottoposta alla misura di protezione in discorso.
La vaccinazione nel caso di incapacità di fatto di intendere e di volere
L’analisi del secondo comma dell’art. 5 del decreto legge rende necessarie alcune precisazioni.
La norma si riferisce alla situazione di incapacità naturale, ovvero a quella in cui il fiduciario, il tutore, il curatore o l’amministratore di sostegno mancano o non sono in alcun modo reperibili per almeno 48 ore.
Quest’ultima circostanza deve essere dimostrata.
Devono quindi utilizzarsi mezzi di comunicazione – come una raccomandata o una pec – che rendono certo il tracciamento della ricezione.
In tali evenienze, il direttore sanitario o, in difetto, il responsabile medico della residenza sanitaria assistita (RSA), o di analoga struttura di ricovero, assume la funzione di amministratore di sostegno.
La menzionata funzione viene svolta al solo fine della prestazione del consenso alla vaccinazione.
In difetto delle figure citate, il compito spetta al direttore sanitario della ASL territorialmente competente o a un suo delegato.
Primariamente, appare impossibile comprendere cosa debba intendersi per “funzione di amministratore di sostegno”.
L’amministrazione di sostegno, infatti, è, per sua natura, uno strumento duttile.
Con questo strumento il giudice tutelare affida specifici compiti di cura o assistenza o rappresentanza (oppure cura e assistenza, cura e rappresentanza, o, ancora, cura assistenza e rappresentanza).
I compiti sono delineati per il compimento degli atti per i quali il giudice stesso ritiene che il beneficiario abbia bisogno di specifica protezione.
Il decreto in cui sono elencati tali atti è il mezzo con cui si individualizza la misura di protezione.
Ciascun beneficiario, dunque, è tutelato da un decreto che contiene specifiche prescrizioni rivolte all’amministratore di sostegno.
In questo modo si ha una tutela individualizzata della persona destinataria del provvedimento.
La prevalenza dei principi generali di tutela della dignità della persona
La mancanza di specificazione in ordine al contenuto dell’incarico affidato dal decreto legge n. 1 del 2021 all’amministratore di sostegno comporta un necessario rinvio all’applicazione dei principi generali in materia.
Primo principio da richiamare è quello della minor limitazione possibile della capacità del beneficiario.
In altri termini, la generica funzione di amministratore di sostegno ai fini della vaccinazione può concretizzarsi solo ed esclusivamente nella sua forma meno incisiva.
In particolare, quando il soggetto da assistere è in grado di esprimere in qualche modo, o in qualche momento, una propria volontà, la funzione può realizzarsi solo quale assistenza (affiancamento).
A nulla può valere, in siffatta situazione, una decisione contraria alla volontà manifestata dalla persona ricoverata.
Si può avere una funzione di rappresentanza solo nel caso di impossibilità totale permanente del soggetto di manifestare una qualche volontà.
Ovviamente, chi si appresta a svolgere il ruolo di amministratore di sostegno non può assolutamente ritenersi svincolato dal necessario controllo che per tale figura è previsto.
Come noto, il controllo fa capo, secondo il codice civile, direttamente al beneficiario.
E a livello pubblicistico, autoritativo, il controllo fa capo al giudice tutelare.
Quest’ultimo ha ampi poteri d’intervento a modifica e revoca.
Per altro, al cospetto del giudice stesso il soggetto che deve assumere la funzione deve prestare il necessario giuramento di fedeltà e diligenza.
Il peculiare accertamento dell’incapacità naturale
Ciò premesso, rileva un secondo profilo che, assorbendo il primo, espone a critica l’intera norma, quello relativo all’accertamento dello stato di incapacità naturale.
Si prevede, nel decreto legge, che si dia atto delle ricerche svolte e delle verifiche effettuate a tal fine.
A tal proposito, si nota che il riferimento è a un peculiare (come si rileverà infra) accertamento di uno stato di incapacità naturale, cioè di incapacità di intendere e di volere.
Le peculiarità dell’incapacità naturale
Tecnicamente, la locuzione utilizzata dal decreto legge fa riferimento alle situazioni in cui una persona, in mancanza di una incapacità giudizialmente dichiarata, non sia in grado, anche temporaneamente e anche in mancanza di infermità mentale, di compiere alcun atto.
Si può richiamare anche il caso in cui il soggetto non sia in grado di valutare, con consapevolezza, le conseguenze del proprio agire.
Ciò può avvenire a causa di assunzione di un farmaco, oppure di alcol o droga, ma anche a causa di ira, passione, spavento, ecc.
La locuzione utilizzata non appare assolutamente aderente all’intenzione del legislatore, volta a tutelare le persone ricoverate nei confronti della scelta terapeutica della vaccinazione.
Non può ipotizzarsi che la norma abbia inteso affidare ad altri il potere sulla scelta terapeutica quando il soggetto sia incapace in via meramente temporanea.
Inoltre, la norma non può essere applicata in caso di incapacità per una ragione diversa dalla presenza di una patologia mentale.
È così necessaria una interpretazione correttiva, secondo l’intenzione del legislatore stesso, come prescritto dall’art. 12 disp. prel. c.c.
Affinché si possa attuare quanto previsto dalla decreto legge n. 1 del 2021, la norma (comma 2) deve riferirsi esclusivamente a tutela delle persone ricoverate che presentino deficit cognitivi legati a patologie mentali fisiologiche.
L’accertamento da parte del personale sanitario
Si deve inoltre decisamente censurare la scelta di far rientrare nell’ambito delle competenze sanitarie quelle che sono prerogative ineluttabili della funzione giudiziaria.
In ogni procedura diretta a incidere sullo stato della persona e sulla limitazione della sua capacità, la modifica di stato e ogni altra decisione che incida comunque sull’autonomia privata dell’incapacitando spetta essenzialmente al giudice.
Il giudice si avvale, a tal uopo, di consulenze tecniche medico-legali.
Per altro, l’accertamento in discorso si risolve sostanzialmente in un trattamento sanitario.
Per questo trattamento dovrebbero dunque valere le norme generali in materia di prestazione del consenso e di autodeterminazione.
Questa conclusione può ritenersi certa a meno che non si intenda leggere la norma quale fondamento di un trattamento sanitario obbligatorio (avente quale fine l’accertamento dell’infermità mentale).
Ma non sembra che sia rinvenibile una tale ratio a seguito dell’analisi dell’intenzione del legislatore del gennaio 2021.
Si deve poi evitare un’interpretazione incostituzionale (per violazione degli art. 24, 32 e 111 Cost.) della formula dell’art. 5, 2° co., del decreto legge n. 1 del 2021.
A tal fine, essa deve essere letta in modo da escludere che il compito ivi assegnato al direttore sanitario, o al responsabile medico, consenta un accertamento che possa superare la necessità di una istruttoria giudiziale, in caso di ricorso al giudice.
L’interprete, nell’interpretare la norma in conformità alla Costituzione, dovrebbe anche escludere che un accertamento di questo genere possa comportare una vaccinazione in assenza di una volontà in tal senso.
Il consenso prestato da altri al fine della vaccinazione della persona ricoverata
Il decreto legge detta poi le fasi successive dell’iter verso la scelta terapeutica riguardante la persona ricoverata.
Si dispone che il soggetto individuato secondo le regole sopra illustrate accerti se il trattamento vaccinale è idoneo ad assicurare la migliore tutela della salute della persona stessa.
Quando l’accertamento dà esito positivo, esprime per iscritto il consenso alla somministrazione del trattamento vaccinale anti Covid-19 e dei successivi eventuali richiami.
Ne dà inoltre comunicazione al dipartimento di prevenzione sanitaria competente.
La norma che dispone al riguardo fa rinvio alla legge n. 219 del 2017.
Il rinvio appare però assolutamente improprio, salvo dargli valenza abrogante per la contraddizione che ne emerge.
Infatti, principio di segno opposto rispetto a quello che emerge nel decreto legge del 2021 si ricava proprio dall’analisi complessiva della citata legge del 2017.
Quest’ultima afferma la necessità che, affinché un soggetto possa arrogarsi un qualche potere in ordine a una scelta terapeutica che riguarda altri, deve esserne appositamente investito, dalla persona interessata (con le DAT) oppure da un giudice, con un provvedimento di nomina a tutore o amministratore di sostegno.
Spetterà alla giurisprudenza dar concretezza in un senso – norma autoabrogante – o nell’altro – inutilità del rinvio – a questa peculiare disposizione.
La consultazione degli stretti congiunti
A effettiva tutela dell’interessato si prevede comunque che debbano essere sentiti, quando già noti, il coniuge o, in difetto, il parente più prossimo entro il terzo grado.
Ciò fa gravare un onere in capo a chiunque abbia un congiunto ricoverato in una struttura rientrante tra quelle indicate nel decreto legge n. 1 del 2021.
L’onere è quello di comunicare tempestivamente e formalmente alla struttura le generalità e i recapiti del coniuge e dei parenti entro il terzo grado della persona da tutelare.
La consultazione di uno dei congiunti menzionati apre la strada a un’ulteriore osservazione.
La speciale procedimentalizzazione della prestazione del consenso al trattamento vaccinale per le persone ricoverate
Il decreto legge del gennaio 2021 ha inteso procedimentalizzare maggiormente l’iter di prestazione del consenso per la vaccinazione rispetto a quanto avviene in relazione agli altri interventi sanitari sull’incapace.
Per questi ultimi, difatti, non è previsto che il tutore, o l’amministratore di sostegno, debba sentire i congiunti dell’incapace beneficiario della misura di protezione.
La maggiore procedimentalizzazione porta a desumere una particolare intenzione del legislatore del gennaio 2021, che appare diretta a una speciale cautela nei confronti della vaccinazione.
Si può ipotizzare che, trattandosi di un intervento non necessario per la cura della persona, si sia ritenuto necessario seguire un percorso più accurato (con ascolto del congiunto) di quello previsto per i trattamenti sanitari di diverso tipo.
Ciò trova conferma nella norma che dispone che il consenso al trattamento sanitario, espresso dal soggetto individuato secondo le regole qui sopra esposte, è immediatamente e definitivamente efficace.
Tale efficacia si ha se il consenso è conforme alla volontà dell’interessato o, quando questi non è in grado di esprimere la propria volontà, a quella degli stretti congiunti su menzionati.
Il valore del rifiuto da parte della persona ricoverata
Viene ribadito esplicitamente, dal decreto legge n. 1 del 2021, il principio, ormai nitidamente ribadito in giurisprudenza, di priorità della volontà della persona ricoverata,
Questo principio è posto a salvaguardia della sua libertà e della sua dignità.
La legge dispone che, in ogni caso, il consenso non può essere espresso in difformità dalla volontà dell’interessato, espressa direttamente o indicata nelle DAT.
Qualora la persona ricoverata non sia in grado di esprimere la propria volontà, il consenso non può essere espresso in difformità dalla volontà dei congiunti sopra indicati.
In caso di rifiuto di questi ultimi, il direttore sanitario, o il responsabile medico della struttura in cui l’interessato è ricoverato, ovvero il direttore sanitario della ASL o il suo delegato, può richiedere, con ricorso al giudice tutelare, di essere autorizzato a effettuare comunque la vaccinazione.
Il ricorso al giudice tutelare
Il decreto legge di gennaio 2021 fa rinvio a quanto previsto, in relazione al ricorso al giudice tutelare, dall’art. 3, quinto comma, della citata legge del 2017.
Appare quindi necessario, in tal caso, che il medico che ha in cura la persona ricoverata ritenga che la vaccinazione sia appropriata e necessaria.
Il giudice tutelare deve, in tale ipotesi, accertare la sussistenza dei presupposti previsti dalla norma.
Innanzitutto, deve verificare che il soggetto non sia in grado di esprimere una propria volontà, atteso che il rifiuto dell’interessato impedisce radicalmente la vaccinazione.
Secondariamente deve valutare se dar preminenza, sempre a tutela della persona ricoverata, alla volontà contraria espressa dai suoi stretti congiunti, oppure alla richiesta di vaccinazione avanzata dal personale sanitario.
A tal fine, può fondare la propria decisione sull’apposita certificazione medica che gli deve essere fornita da chi promuove il ricorso,
L’affidamento sullo strumento di protezione già giudizialmente disposto
Quando risulta una volontà diretta alla vaccinazione da parte del tutore dell’interessato o da parte del suo amministratore di sostegno, il giudice può far affidamento sull’incarico conferito a tali soggetti.
Quindi, se al ricorso viene allegata una certificazione medica comprovante la necessità della vaccinazione, questa può considerarsi sufficiente perché si ottenga l’autorizzazione prevista dalla legge.
Qualora il giudice non la consideri sufficiente, può sempre disporre apposita consulenza medica d’ufficio.
Nel caso in cui manchi il tutore o l’amministratore di sostegno giudizialmente nominato, il giudice si trova dinanzi a una situazione in cui a volere la vaccinazione è un soggetto, diverso dall’interessato, che non ha avuto alcuna investitura giudiziale.
Somministrazione del vaccino e consulenza medica disposta dal giudice
In tale situazione, al rifiuto degli stretti congiunti deve essere assegnato un maggior valore, sempre alla luce della tutela della dignità e del diritto alla salute della persona ricoverata.
Di conseguenza, appare assai opportuno, in questa evenienza, un ampio ricorso, da parte del giudice, allo strumento della consulenza medico-legale.
Ciò vale, a maggior ragione, quando il congiunto che si è opposto alla vaccinazione possa ritenersi degno di rivestire il ruolo di tutore o di amministrazione di sostegno.
La mancata nomina può in questo caso dipendere dall’inerzia dei soggetti (tra cui il pubblico ministero) che avrebbero potuto richiedere l’applicazione di una misura di protezione.
Irreperibilità dei congiunti e vaccinazione su istanza del personale sanitario
Il decreto legge detta specifiche disposizioni anche per il caso in cui non sussista alcuna manifestazione di volontà dell’interessato (neanche tramite le DAT) e non siano reperibili (ovvero siano indisponibili) gli stretti congiunti su menzionati.
In tale evenienza, il consenso al trattamento vaccinale è sottoscritto dal soggetto (sanitario) che assume la funzione di amministratore di sostegno.
Il documento che riporta il consenso, unitamente alla già analizzata documentazione medica, è comunicato immediatamente, anche attraverso posta elettronica certificata, dalla direzione della struttura di ricovero al giudice tutelare competente per territorio.
Il giudice ha quarantotto ore dal ricevimento degli atti per disporre gli eventuali accertamenti.
Si tratta di accertamenti relativi alla sussistenza dei presupposti normativi.
Nel brevissimo termine indicato il giudice deve decidere se convalidare, con specifica motivazione, il consenso espresso alla vaccinazione o denegare, anche senza motivazione (in ragione, ad esempio, della mancanza degli elementi necessari per una decisione in senso opposto), la convalida.
Gli effetti del consenso alla somministrazione del trattamento vaccinale anti Covid-19 e dei successivi eventuali richiami restano sospesi fino alla comunicazione del decreto di convalida.
In caso di diniego di convalida, l’efficacia del consenso cessa in modo definitivo.
Gli accertamenti disposti dal giudice
Il testo del decreto legge prevede testualmente che il giudice disponga gli accertamenti quando dai documenti non emerga la sussistenza dei presupposti previsti nel comma 3 dell’art. 5, comma.
Tale disposizione si riferisce ai seguenti necessari requisiti:
- attestazione della idoneità del trattamento vaccinale alla miglior tutela della salute della persona ricoverata;
- consenso scritto delle persone (sopra citate) a cui i commi 1 e 2 conferiscono il potere di manifestare il consenso alla vaccinazione;
- consultazione degli stretti congiunti su indicati.
Deve, ad ogni modo, darsi una lettura di ampio respiro alla disposizione in questione.
Infatti, è necessariamente riservato al giudice un ampio potere di accertamento e di valutazione, che coinvolge tutti i requisiti normativi (e i principi normativi sopra esposti) e che gli consente di pervenire alla delicata – in quanto relativa a un trattamento sanitario – decisione che concerne la persona ricoverata.
La particolare urgenza manifestata dal legislatore
Il legislatore del gennaio 2021 – pur avendo manifestato una certa cautela nei confronti del trattamento vaccinale, inserendo nell’iter per la vaccinazione anche l’audizione degli stretti congiunti – appare mosso da particolare urgenza nel dettare le tempistiche dell’intervento giudiziale.
Si prevede, infatti, che entro le quarantotto ore successive alla scadenza del termine, di quarantotto ore dalla ricezione degli atti (quindi, complessivamente, entro quattro giorni da tale ricezione), venga comunicato all’interessato e al suo tutore o amministratore di sostegno il decreto di convalida o di diniego di convalida, a mezzo di posta certificata presso la struttura dove la persona è ricoverata.
Si tratta di un termine rigorosamente perentorio: viene previsto che il suo decorso priva di ogni effetto il provvedimento del giudice.
La conseguenza in caso di decorso del termine di quattro giorni
La conseguenza legata al decorso del termine in mancanza della suddetta comunicazione è davvero singolare.
A maggior ragione, la norma appare peculiare se la si considera nel panorama della tutela da riservare, alla luce dei principi costituzionali, alla persona umana e dei poteri costituzionalmente riservati al giudice.
Se decorre inutilmente il breve termine menzionato, il consenso espresso dal soggetto che eccezionalmente assume la funzione di amministratore di sostegno si considera a ogni effetto convalidato.
In questo modo, esso acquista definitiva efficacia ai fini della somministrazione del vaccino.
La norma prevede quindi un importante esito – riguardante un trattamento sanitario disposto in mancanza di volontà della persona interessata – per il caso di mancata comunicazione, entro il brevissimo lasso di tempo richiamato, del provvedimento giudiziale.
Ne deriva che il giudice deve comunque negare la convalida quando non ritiene di aver elementi sufficienti a favore della vaccinazione.
Ciò vale anche nel caso in cui ciò consegua all’impossibilità di disporre, entro il breve termine prescritto, i necessari (e gli opportuni) mezzi istruttori.
Il ruolo della volontà dell’interessato o dei suoi congiunti
Si deve precisare che, comunque, tra i presupposti che la legge indica perché si possa procedere con la somministrazione della vaccinazione rientra la mancanza di una difforme volontà dell’interessato o degli stretti congiunti indicati dalla legge.
Si ricorda, come già sopra spiegato, che la difformità rispetto al volere dell’interessato esclude, in radice, il trattamento sanitario, mentre per il caso di rifiuto da parte degli anzidetti congiunti è prevista la facoltà di far ricorso al giudice tutelare secondo quanto disposto dalla più volte citata legge del 2017.
In tal caso, si apre un regolare procedimento le cui tempistiche non sono certamente quelle ristrettissime appena esaminate.
La procedura urgente (che deve concludersi in quattro giorni) riguarda infatti esclusivamente il caso in cui manchi sia la volontà dell’interessato sia quella degli stretti congiunti (per irreperibilità o indisponibilità degli stessi).
L’esperienza dello Studio Legale in materia di amministrazione di sostegno
Lo Studio Legale si occupa già dagli anni Sessanta della materia delle incapacità giudizialmente dichiarate.
Si occupa professionalmente di amministrazione di sostegno sin da quando questo strumento di protezione è stato introdotto nel nostro ordinamento.
Gli avvocati dello Studio Legale sono costantemente aggiornati sulle evoluzioni normative e giurisprudenziali in tema di incapacità.
Per contattare lo Studio Legale, si possono utilizzare i recapiti indicati nella Pagina Contatti, oppure si può scrivere a studio@professionistilegali.it