Avvocato interdizione Incapacità e compimento di atti personalissimi

La riforma in materia di incapacità giudizialmente dichiarata

La legge 9 gennaio 2004, n. 6 ha dato un nuovo volto alla materia dell’incapacità, come noto a un avvocato interdizione.

Ciò si nota dalla nuova formulazione dell’art. 414 cod. civ..

Prima della menzionata riforma, esistevano solo due strumenti giudiziali a tutela dell’incapace: interdizione e inabilitazione.

L’interdizione veniva sostanzialmente considerata quale misura da infliggere all’infermo di menta.

La previgente rubrica della disposizione menzionava espressamente le persone che dovevano essere interdette.

I soggetti incapaci di curare i propri interessi a causa di abituale infermità di mente dovevano essere interdetti.

Era questa la formulazione contenuta nel vecchio testo dell’art. 414.

Il nuovo volto dell’incapacità

La riforma ha specificato che l’interdizione deve essere utilizzato quale mezzo di protezione.

Essa non può più quindi essere considerata quale sanzione.

Con la riforma è stata seguita l’interpretazione di una specifica dottrina.

Si fa riferimento alla dottrina più sensibile alla tutela dei valori costituzionali legati alla tutela della persona umana (E.V. Napoli).

Il soggetto, ormai, può essere interdetto, solo ove ciò sia necessario per una sua adeguata protezione.

Questo è, in sostanza, il nuovo testo normativo sull’interdizione.

Si è superata così l’impostazione precedente.

L’interdizione, finalmente, non può più risolversi in un abuso da parte del tutore nei confronti dell’incapace.

Questa evoluzione deve essere tenuta in considerazione per la tutela del Cliente da parte di un avvocato interdizione.

Va ricordato, al riguardo, che l’istituto è stato definito col termine interdizione per una precisa scelta politica.

Tale scelta era proprio connessa a istanze discriminatorie verso i malati di mente.

Con l’interdizione, infatti, si è inteso originariamente circoscrivere al massimo l’attività giuridica dell’incapace.

Gli atti personalissimi

Secondo un orientamento, il tutore potrebbe compiere anche degli atti personalissimi.

Si tratta degli atti riguardanti le scelte fondamentali di vita della persona bisognosa.

Viene fatto l’esempio delle scelte matrimoniali, dei trattamenti sanitari, delle liberalità.

Questi atti sono legati alla sfera più intima della persona.

Non si può perciò ammettere che siano compiuti da un soggetto diverso.

Quindi, il compimento degli atti personalissimi è del tutto precluso al tutore.

Limitazioni che vanno oltre l’incapacità di agire

Con riguardo agli atti personalissimi, la menomazione a danno dell’interdetto è, d’altro canto, molto ampia.

Essi non possono essere compiuti dall’interdetto e, per loro natura, non possono essere compiuti da un rappresentante.

Con riferimento a questi atti, dunque, non si ha una mera limitazione della capacità di agire.

La limitazione, infatti, ricade nell’ambito della stessa capacità giuridica della persona.

Cessa la logica sanzionatoria dell’interdizione

Con la riforma del 2004, è stata, d’altronde, superata la logica totalizzante dell’interdizione.

La precedente impostazione realizzava – come sostenuto da autorevole dottrina – un insostenibile isolamento della persona.

Ciò ne aveva suggerito l’utilizzazione a scopo sanzionatorio.

La pena dell’interdizione legale, a carico di chi è condannato per reati gravi, mutua infatti il contenuto dall’interdizione giudiziale.

Interdizione e capacità matrimoniale

Specifiche norme impediscono che l’interdetto possa compiere determinati atti personalissimi.

Esse sono certamente conosciute da ogni avvocato interdizione.

Per questi non è ammessa, come detto, la rappresentanza.

L’art. 85 cod. civ. vieta all’interdetto per infermità di mente di contrarre matrimonio.

Il pubblico ministero deve intervenire se è a conoscenza della malattia mentale di uno dei nubendi.

Deve opporsi al matrimonio del soggetto che non possa essere sottoposto a procedimento di interdizione a causa dell’età.

La norma di riferimento è contenuta nell’art. 102, 5° co., cod. civ.

Il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente può essere impugnato dal tutore e dal pubblico ministero.

Può essere impugnato anche da chiunque vi abbia un interesse legittimo.

L’impugnazione è ammissibile anche qualora la sentenza d’interdizione sia stata pronunciata successivamente alla celebrazione.

In tal caso, deve essere data la prova della sussistenza dello stato patologico al momento del matrimonio.

Il tribunale ha il potere di intervenire sulla relazione personale coniugale in caso di interdizione di uno dei coniugi.

Può infatti ordinare anche d’ufficio la separazione temporanea dei coniugi durante il giudizio di nullità del matrimonio.

La disposizione è quella dell’art. 126 cod. civ.

La difesa può essere adeguatamente svolta da un esperto avvocato per interdizione.

L’art. 183 cod. civ. prevede poi che il coniuge interdetto è escluso dall’amministrazione della comunione legale.

Può essere chiesta, per altro, la separazione giudiziale dei beni (art. 193 cod. civ.).

Interdizione e atti di liberalità

Inoltre, l’interdetto per infermità di mente non ha la capacità di testare (art. 591 cod. civ.).

L’esecutore testamentario deve far apporre i sigilli, se tra i chiamati all’eredità vi è un interdetto (art. 705 cod. civ.).

Il tutore non può effettuare donazioni in nome dell’interdetto.

Si fa eccezione per le donazioni a favore di un discendente di quest’ultimo che contragga matrimonio (art. 777 cod. civ.).

Interdizione e capacità contrattuale

In ambito contrattuale, sono previste particolari limitazioni all’attività dell’interdetto, note all’avvocato interdizione.

L’affitto si può sciogliere per l’interdizione dell’affittuario, secondo l’art. 1626 cod. civ.

Inoltre, il mandato si estingue in caso di interdizione (art. 1722 cod. civ.).

La sentenza di interdizione comporta, per altro, l’esclusione del socio di società semplice (art. 2286 cod. civ.).

Una tale sentenza è causa anche di recesso dal contratto di conto corrente civilistico (art. 1833 cod. civ.).

Interdizione e amministrazione di sostegno

L’introduzione della figura dell’amministrazione di sostegno ha fatto dubitare dell’attuale applicabilità dell’interdizione.

Gli atti che l’amministratore di sostegno può compiere vengono delimitati col decreto del giudice tutelare.

Ciò fa supporre che tale misura sia maggiormente adeguata rispetto alle esigenze di protezione dell’incapace.

A seguito di ricorso, infatti, si può ottenere l’interdizione solo in situazioni di gravissima infermità mentale permanente.

Ogni avvocato interdizione conosce bene quanto la riforma abbia infatti inciso sui giudizi di incapacità.

Attenuazione delle differenze tra le misure di protezione della persona

La legge di riforma del 2004 ha anche attenuato le differenze tra i vari istituti di protezione degli incapaci.

Nella sentenza di interdizione può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione vengano compiuti dall’interdetto.

La sentenza può prescrivere che per essi non sia necessario l’intervento del tutore.

Può anche prescrivere che per essi sia sufficiente la mera assistenza del tutore.

Ciò può statuirsi anche con un successivo provvedimento dell’autorità giudiziaria.

La norma che lo prevede è l’art. 427, 1° co.

Essa non risulta tuttavia frequentemente applicata in giurisprudenza.

Si deve auspicare che ogni avvocato interdizione richieda una maggior applicazione di questa disposizione.

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Avv. Antonio Mollo, Avvocato interdizione

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