Il licenziamento per crisi aziendale La necessità di contenimento dei costi

Il caso esaminato in tema di licenziamento

Una società operante nel settore dell’editoria ha effettuato un licenziamento per crisi aziendale.

Ad essere licenziato è stato un giornalista.

Il licenziamento sarebbe stato inevitabile, secondo la società datrice, in un’ottica di contenimento di costi.

Il giornalista ha provveduto all’impugnazione del licenziamento.

L’impugnazione del licenziamento e il giudizio di merito

Il giornalista ha impugnato il provvedimento innanzi all’autorità giudiziaria che, nei due gradi di merito, ha respinto il ricorso.

I giudici di merito hanno ritenuto dimostrate le ragioni addotte dalla società per essere stata, la stessa, ammessa al trattamento in CIGS (Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria), con decreto ministeriale.

Il giudizio di cassazione

Il giornalista ha proposto ricorso per cassazione.

Il Supremo Collegio, in accoglimento del ricorso, ha ribaltato la sentenza della Corte di merito.

Cass. 20 ottobre 2017 n. 24882

I giudici della Cassazione hanno affermato che

nel licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo è onere del datore di lavoro dimostrare l’effettiva soppressione della posizione lavorativa del lavoratore e l’impossibilità di un suo diverso reimpiego

A tal fine, si è sostenuto che

la crisi aziendale e la necessità di un contenimento dei costi attuata con la contrazione del numero dei giornalisti occupati non legittimano il licenziamento

Le motivazioni della sentenza

Seguendo l’iter motivazionale, il datore deve dimostrare

a) quale è stato il posto occupato dal lavoratore;

b) l’effettiva soppressione di tale posizione quale conseguenza di una ristrutturazione aziendale;

c) l’impossibilità di reimpiego del lavoratore col nuovo assetto organizzativo.

Solo se assolve tale onere probatorio, il datore di lavoro dimostra la sussistenza delle “esigenze tecnico organizzative e produttive” richieste dalla legge (art. 3 l. 15 luglio 1966, n. 604).

I precedenti

La decisione qui commentata si allinea agli orientamenti espressi in precedenza in tema di onere della prova.

Quanto alla prova che la società deve fornire, i giudici hanno precisato che non è richiesta la prova dell’andamento economico negativo della società.

Il principio risulta conforme ai precedenti (Cass. 10699/2017 e Cass. 25201/2016).

L’obbligo di repechage

I giudici hanno ribadito la sussistenza di un obbligo di repechage in capo al datore di lavoro.

E hanno escluso che sia il lavoratore a dover indicare le possibili alternative dei posti assegnabili nel nuovo assetto della società.

Anche in merito a tale ultimo aspetto, la Cassazione si era già espressa negli stessi termini (Cass. 13 giugno 2016 n. 12101).

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