Avvocato Responsabilità medica La tutela apprestata dall'avvocato in caso di responsabilità sanitaria

Avvocato responsabilità medica e sanitaria

Un esperto avvocato responsabilità medica analizza, nelle evoluzioni interpretative, le peculiarità di questa materia.

La responsabilità medica è quella in cui incorre il medico in caso di inadempimento.

Sorge una tale responsabilità anche in caso di inesatto adempimento della prestazione professionale.

Responsabilità sanitaria è invece quella che si riferisce a tutti gli esercenti professioni san

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Avv. Antonio Mollo, esperto avvocato responsabilità medica

itarie e alla struttura sanitaria.

La specialità della responsabilità medica

Questa materia è stata oggetto di una evoluzione applicativa molto articolata.

Essa è ben nota a un avvocato responsabilità medica.

L’evoluzione in discorso ha conferito a questa particolare responsabilità caratteri di assoluta specialità.

Infatti, la disciplina della responsabilità medica si è distinta nettamente da quella delle altre responsabilità.

L’inserimento della responsabilità medica nell’ambito contrattuale o extracontrattuale

Varia la disciplina da applicare a seconda dell’inserimento nella responsabilità contrattuale o extracontrattuale.

La prima concerne la responsabilità da inadempimento delle obbligazioni.

Invece, la seconda riguarda la responsabilità per fatto illecito.

La responsabilità del medico che esercita privatamente la professione è contrattuale (da inadempimento).

Le regole da applicare alla responsabilità medica contrattuale

Tra paziente e medico (o struttura sanitaria privata) può sussistere un accordo contrattuale.

Sorge in tal caso l’obbligo privatistico di adempiere la prestazione sanitaria.

Si applica la disciplina prevista per la responsabilità contrattuale (o, meglio, per inadempimento).

Le relative regole devono essere considerate quando si agisce con un avvocato per responsabilità medica.

Il diritto del paziente a farla valere è soggetto alla prescrizione ordinaria, decennale.

Grava sul medico l’onere della prova.

In particolare, deve provare di aver esattamente adempiuto.

Nel caso di inesatto adempimento, deve provare di non essere in colpa.

Stesse regole si applicano al rapporto tra paziente e struttura sanitaria privata.

L’onere della prova è in capo a quest’ultima.

I danni risarcibili sono quelli prevedibili al momento in cui è sorta l’obbligazione.

La responsabilità del medico che presta la propria attività in una struttura sanitaria pubblica

In certe situazioni, si pone un particolare problema di qualificazione del rapporto.

Si fa riferimento ai casi in cui il paziente viene accettato presso una una struttura sanitaria pubblica.

Alla qualificazione consegue la disciplina applicabile da parte di un avvocato responsabilità medica.

In seguito all’accettazione, la struttura sanitaria individua il medico che deve effettuare la prestazione.

Sorge la responsabilità se il medico non adempie o non adempie esattamente.

Evoluzione storica della responsabilità medica

Nella prima parte del Novecento l’adempimento della prestazione sanitaria era considerato un potere autoritativo.

Il medico aveva un ruolo di rilevanza pubblicistica.

Di conseguenza, la posizione del paziente non era assimilabile a un diritto soggettivo.

E solo per far valere un diritto soggettivo alla salute il paziente può chiedere piena tutela.

Questo è ben noto a un avvocato responsabilità medica.

D’altronde, fino alla metà del Novecento non si potevano avere le attuali pretese verso la medicina.

La separazione della medicina dalle altre scienze

Solo nell’Ottocento la scienza medica si è separata dalle altre scienze.

Allora, il paziente si affidava a una medicina generalizzata.

La medicina non era individualizzata in relazione alle specifica situazione della persona interessata.

Il paziente non poteva quindi vantare alcun diritto a ottenere una guarigione.

Non poteva nemmeno pretendere un miglioramento delle proprie condizioni fisiche.

Importanti tappe verso la valorizzazione della persona in caso di trattamento sanitario

A metà dell’Ottocento la situazione è cambiata.

La scienza medica ha acquistato sempre maggiore autonomia.

In quel periodo, con l’introduzione dell’anestesia si cominciava a valorizzare la persona.

Nel novecento si sono perfezionate le tecniche diagnostiche con l’affermazione della radiologia.

Di conseguenza, si sono affinate anche le tecniche terapeutiche.

Si sono affermate anche le specializzazioni nei vari settori della medicina.

Sono stati scoperti gli antibiotici.

Inoltre, si sono perfezionate le cure delle malattie infettive attraverso i metodi microbiologici.

Si è giunti perfino alle biotecnologie.

La tutela dell’integrità fisica

Nella prima metà del Novecento si sono così raggiunti risultati prima inimmaginabili.

La medicina è stata così percepita come una scienza a cui rivolgersi per la tutela effettiva dell’integrità.

E la tutela della salute, intesa inizialmente come integrità fisica, è stata riconosciuta dalla Costituzione.

L’art. 32 della Costituzione

La salute è stata così tutelata dall’art. 32 Cost.

Secondo la norma, la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.

Si prevede anche la garanzia di cure gratuite agli indigenti.

Per il 2° comma, nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

E la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Iniziale interpretazione quale norma programmatica

L’impostazione tradizionale relativa al rapporto tra il paziente e il medico ha comportato un effetto.

Quella dell’art. 32 Cost. è stata in un primo momento considerata una norma programmatica.

Era una conseguenza della nozione di salute affermatasi nella prima parte del Novecento.

Si riteneva, cioè, che la norma si rivolgesse all’autorità pubblica.

Secondo questa tesi, la norma indicava come agire nell’emanazione di provvedimenti in materia di salute.

Non si reputava dunque la norma come direttamente rivolta al cittadino.

Questi, cioè, non poteva vantare, in virtù della Costituzione, alcun diritto soggettivo, pieno, alla salute.

La qualificazione dell’art. 32 Cost. quale norma precettiva

Questa impostazione è stata nettamente superata nella seconda metà del Novecento.

L’evoluzione interpretativa ha portato allo sviluppo della tutela della salute della persona.

Negli anni Settanta del secolo scorso, la giurisprudenza ha quindi accolto una nozione ampia di salute.

In particolare, è stato attribuito valore precettivo all’art. 32 Cost.

La salute è stata così interpretata non più come mera assenza di patologia.

Essa si è identificata, finalmente, come benessere psico-fisico.

L’evoluzione normativa

All’evoluzione applicativa giurisprudenziale si è accompagnata quella normativa.

Con legge 23 dicembre 1978 n. 833 è stato istituito il Servizio Sanitario Nazionale.

La legge 13 maggio 1978 n. 180, sull’assistenza psichiatrica, ha valorizzato la salute come benessere psico-fisico.

A tal riguardo, si può menzionare anche la legge 14 aprile 1982 n. 164, sul mutamento di sesso.

Anche la Corte costituzionale ha giocato il suo ruolo.

Con sentenza del 22 ottobre 1990 n. 471 ha affermato uno stretto collegamento tra salute e libertà.

L’art. 32 della Costituzione come norma precettiva

Nel frattempo, la scienza medica ha proseguito il suo percorso evolutivo.

Si è evoluta la chirurgia estetica, che certamente ha dato riscontro a esigenze di carattere psicologico.

Ha ottenuto tutela il benessere psichico, anche quello legato alle imperfezioni (anche lievi) corporali.

Così, alla fine degli anni Settanta, quella dell’art. 32 Cost. è stata ritenuta norma precettiva.

Il risarcimento del danno da responsabilità medica

In sostanza, il diritto alla salute si è affermato quale diritto soggettivo fondamentale.

Tale diritto è stato considerato non suscettibile di affievolimento, neppure dinanzi all’attività del medico.

Questa impostazione ha comportato delle implicazioni.

Ne è scaturita, in particolare, la necessità di tutelare il paziente in caso di lesione della sua integrità.

Si è avuto, quindi, il progressivo riconoscimento del diritto del paziente al risarcimento del danno.

Le conseguenze dell’impostazione tradizionale del rapporto tra medico e paziente

Poste le basi per il diritto del paziente al risarcimento, occorreva tuttavia fare i conti con la tradizione.

Il medico, infatti, godeva storicamente di un trattamento di favore, quale libero professionista.

Non si poteva allora considerare responsabile per il libero esercizio della professione medica.

Per questa ragione, non si poteva dar rilievo, a fini risarcitori, all'(in)adempimento del medico.

Si trattava infatti di adempimento di una obbligazione libero-professionale.

Restava così la possibilità di una forzatura.

Si è scelto, allora, di prendere le mosse non dalla prestazione medica ma dalla posizione del paziente.

La possibilità di far valere la responsabilità medica seguendo una via extracontrattuale

Ne è derivato un risultato applicativo con cui si è confrontato ogni avvocato responsabilità medica.

Si è dato sostanzialmente rilievo non all’inadempimento ma al pregiudizio subito dalla persona.

Il paziente danneggiato ha potuto quindi chiamare in responsabilità il medico in via extracontrattuale.

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Avv. Antonio Mollo, esperto in responsabilità medica

D’altronde, il paziente non ha alcun titolo (fonte di obbligazioni) nei confronti del medico ospedaliero.

Il contratto d’opera professionale si configura, secondo la giurisprudenza, con la struttura sanitaria.

In particolare, sorge con l’accettazione del paziente presso la stessa.

Il medico non partecipa a questo rapporto contrattuale.

La responsabilità del medico per il danno da suo errore è stata così ritenuta extracontrattuale.

Responsabilità extracontrattuale equivale, come noto, a responsabilità per fatto illecito.

Applicazione alla responsabilità medica delle particolari norme di tutela della libera professione

Era comunque necessario garantire al medico le tradizionali tutela dell’attività professionale intellettuale.

In particolare, era giusto applicare la limitazione di responsabilità prevista dall’art. 2236 cod. civ.

La norma si riferisce alla responsabilità del prestatore d’opera professionale intellettuale.

Riguarda, in particolare, i casi in cui sia necessario risolvere problemi tecnici di speciale difficoltà.

In tali casi, il professionista risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave.

Si ha cioè risarcimento quando il danno è stato cagionato intenzionalmente o con grave imperizia.

La norma riguarda la responsabilità che sorge in seguito al contratto di prestazione professionale.

Tuttavia, la sua applicazione è stata estesa al caso di risarcimento richiesto in via extracontrattuale.

Così, è stata data al medico la possibilità di invocare la limitazione ivi prevista.

Critiche all’inquadramento della responsabilità medica in ambito extracontrattuale

Questa strada applicativa è stata esposta a notevoli critiche.

Il medico è comunque un professionista tenuto a un adempimento di speciale valore sociale.

Prendere le mosse dal danno significa equiparare la vicenda a un generico fatto illecito.

Il rapporto tra medico e paziente si paragonerebbe così a quello tra danneggiato e danneggiante.

Sarebbe cioè assimilabile a quello che si realizza in caso di sinistro stradale.

Così ne risulta svilita la reale essenza della relazione professionale.

Di tale inquadramento ha dovuto tener conto, in quel periodo, ogni avvocato responsabilità medica.

Differenza tra la responsabilità medica e la responsabilità per fatto illecito

Si noti che la fattispecie dell’illecito civile è del tutto differente da quella che qui si sta analizzando.

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Avv. Simona Siciliani, Cassazionista esperto in responsabilità medica

Il rapporto col medico non sorge al momento del danno, ma prima.

Esso sorge con la designazione del medico da parte della struttura, in seguito all’accettazione del paziente.

Si ha responsabilità per fatto illecito, invece, solo se si verifica un danno.

Per altro, la condotta del medico può rilevare anche in mancanza di danno.

Il paziente, infatti, può richiedere trattamenti migliorativi.

Il medico ospedaliero che, in tal caso, non adempia non causa un danno.

Ma non può escludersi una responsabilità medica anche in relazione a ipotesi di questo tipo.

Differenza di trattamento tra responsabilità medica e responsabilità della struttura sanitaria

La responsabilità del medico, così inquadrata, è stata trattata diversamente da quella della struttura.

Infatti, la giurisprudenza ha considerato contrattuale la responsabilità della struttura sanitaria.

Si è ritenuto concluso, con l’accettazione, un contratto d’opera professionale tra la stessa e il paziente.

Sono state così applicate alla struttura sanitaria le regole della responsabilità contrattuale.

Invece, al medico sono state applicate quelle, diverse, della responsabilità extracontrattuale.

Non è opportuna l’applicazione di due diverse discipline

Quindi, per la responsabilità medica l’onere della prova è stato fatto gravare sul paziente.

Per la responsabilità della struttura, l’onere della prova è stato fatto gravare su quest’ultima.

Può rilevarsi che anche i termini di prescrizione sono diversi nei due tipi di responsabilità.

Si può far valere la responsabilità contrattuale entro dieci anni.

Quella extracontrattuale si può far valere invece entro cinque anni.

Altre differenze riguardano i danni risarcibili e i requisiti di capacità.

Non è apparsa tuttavia opportuna l’applicazione contemporanea di due diverse discipline.

L’inopportunità è stata evidenziata a fronte della sostanziale unicità delle pretese del paziente.

Questi infatti, se ha subito un danno, rivolge, di norma, le stesse richieste al medico e alla struttura.

Tutto ciò ha reso difficile la scelta della strategia processuale dell’avvocato responsabilità medica.

La responsabilità medica come responsabilità contrattuale

Queste incongruenze si sono superate con l’unificazione della disciplina applicabile alle due ipotesi.

Alla fine degli anni Novanta la responsabilità del medico ospedaliero è stata considerata contrattuale.

Un tale inquadramento è stato argomentato con la tesi del contatto sociale tra medico e paziente.

In sostanza, il contatto tra questi due soggetti è stato considerato come fonte di obbligazioni.

La norma di riferimento è stata quella dell’ultima parte dell’art. 1173 cod. civ.

Si tratta della disposizione che individua le fonti delle obbligazioni.

Le obbligazioni non derivano solamente da contratto o da fatto illecito, secondo questa norma.

Esse derivano anche da ogni atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.

Tra tali fatti rientrerebbe, secondo la tesi menzionata, il contatto sociale tra medico e paziente.

La tesi in discorso è stata tenuta in primaria considerazione dall’avvocato responsabilità medica.

A tal proposito, a nostro parere, non dovrebbe darsi rilievo al fatto del contatto sociale in discorso.

Maggior rilievo dovrebbe essere dato all’atto della designazione del medico da parte della struttura.

Infatti, è con la designazione che il medico è obbligato a effettuare un trattamento sanitario nei confronti del paziente.

L’evoluzione giurisprudenziale in materia di responsabilità contrattuale

Questa strada applicativa si è consolidata in un momento di evoluzione della responsabilità contrattuale.

Innanzitutto, si fa riferimento all’evoluzione che ha riguardato la responsabilità medica contrattuale.

In particolare, ci si riferisce alla giurisprudenza che si è affermata in materia dal 1978 in poi.

Prima di questo periodo, si faceva gravare sul paziente la prova dell’inesattezza dell’adempimento medico.

L’onere della prova in caso di interventi medici di routine

Il paziente, creditore, anche per le operazioni di routine, doveva provare l’inesattezza dell’adempimento.

Ciò era ben noto all’avvocato responsabilità medica.

Era questa l’applicazione che, in questa materia, trovava l’art. 1218 cod. civ.

Il debitore (il medico) che non esegue esattamente la prestazione deve, secondo la norma, risarcire i danni.

La disposizione indica come il debitore può esonerarsi dall’obbligo risarcitorio.

Deve provare che l’inadempimento è stato dovuto a impossibilità derivante da causa a lui non imputabile

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Avv. Antonio Mollo, esperto in responsabilità medica

Prima del 1978, la prova dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento era però sempre a carico del creditore.

 

Non era però semplice, per il paziente, fornire la prova della specifica imperizia messa in atto dal medico.

Dal 1978 si è superato questo orientamento in relazione alle operazioni di routine.

Per determinati interventi medici routinari, il paziente può infatti confidare nel risultato positivo.

Ne ha preso atto la giurisprudenza, invertendo l’onere della prova in caso di mancanza di esito positivo.

L’onere della prova dell’esattezza dell’adempimento è stato così fatto gravare sul medico.

La prova dell’inadempimento in generale

Alla fine degli anni Novanta si è affermato un altro orientamento certamente favorevole al paziente.

Il consolidamento si è avuto con il principio espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2001.

Secondo questo principio, il creditore si può limitare ad allegare l’inadempimento.

Il paziente deve quindi indicare (allegare) l’inadempimento del medico, ma non deve darne prova.

Per esonerarsi da responsabilità, è allora il debitore (il medico) a dover provare l’esatto adempimento.

Questo principio è stato affermato con riferimento a ogni tipo di obbligazione.

Se ne tiene dunque conto in caso di richieste risarcitorie formulate dall’avvocato responsabilità medica.

In questo contesto, si è inserita la menzionata giurisprudenza, del 1999, sul contatto sociale.

Essa ha considerato la responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da inadempimento.

Maggior tutela del paziente e comportamenti difensivi del medico

Questa evoluzione ha ampliato le potenzialità di tutela del paziente.

Il medico è risultato gravato di pesanti oneri probatori, come noto all’avvocato responsabilità medica.

I risarcimenti sono così aumentati.

L’avvocato responsabilità medica ha ottenuto, in giudizio, importanti vittorie per il proprio cliente.

Con essi, sono aumentati anche i premi assicurativi a carico dei medici che hanno inteso stipulare un’assicurazione.

Questa situazione ha condotto a un’ulteriore evoluzione.

Per evitare gravi responsabilità risarcitorie, il medico ha adottato spesso delle condotte difensive.

Più che preoccuparsi di individualizzare il trattamento sanitario, ha cioè agito per non risponderne.

Era allora necessario operare un nuovo bilanciamento tra gli interessi contrapposti.

Da un lato c’era la tutela del paziente, dall’altro la tutela della libertà dell’azione professionale del medico.

Il progresso scientifico in ambito medico, per altro, ha aumentato il livello delle pretese del paziente.

L’errore medico è stato sempre prospettabile.

D’altro canto, l’evoluzione medica ha fatto considerare imperfetta ogni cura in ogni caso di mancanza di esito positivo per il paziente.

La norma del 2012 in materia di responsabilità medica

Era allora opportuno far fronte ai problemi conseguenti agli oneri probatori del medico.

Purtroppo, però, questo intento è stato perseguito senza ottimizzare le tutele.

In sostanza, per tutelare il medico, il legislatore ha cercato di depotenziare l’azione del paziente.

Il primo tentativo in questo senso si è avuto con il decreto legge 13 settembre 2012 n. 158.

Si è esclusa la responsabilità penale del medico per colpa lieve quando si sia attenuto a standard prestabiliti.

In particolare, l’esonero è stato legato all’osservanza di linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

La norma ha disposto che è rimasto fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 cod. civ.

La mancanza di impatto precettivo

L’infelice formulazione ha comportato la sostanziale mancanza di impatto precettivo.

La norma ha inteso mantenere un’azione a favore del paziente quando il medico gli abbia cagionato un danno ingiusto.

L’avvocato responsabilità medica conosce gli esiti dell’infelice formula utilizzata dal legislatore.

Si è ritenuto di riferire la norma ai casi in cui al medico fosse imputabile un illecito.

Ciò non può che avvenire al di fuori dell’esercizio della professione medica.

Di conseguenza, il richiamo all’art. 2043, norma della responsabilità extracontrattuale, non si è quindi sostanzialmente applicato.

A impedirne l’applicazione è stato per altro il consolidamento della giurisprudenza sulla responsabilità contrattuale del medico ospedaliero.

Così, la giurisprudenza ha confermato le precedenti regole.

Si è precisato che in nulla quella norma ha modificato la responsabilità civile in ambito medico-sanitario.

Si può richiamare, in proposito, tra le altre, Cassazione 19 febbraio 2013 n. 4030.

Il secondo intervento legislativo

Al fine di tutelare il medico era necessario allora un altro intervento normativo.

Così, si è giunti alla legge 8 marzo 2017 n. 24.

L’art. 7 fa riferimento alla struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata.

In particolare, si riferisce all’adempimento, da parte della struttura mediante esercenti la professione sanitaria.

Viene previsto che essa risponde ai sensi degli artt. 1218 e 1228 cod. civ. delle condotte dolose o colpose di questi soggetti.

La responsabilità della struttura sanitaria è dunque contrattuale.

Sono state descritte qui sopra le regole da seguire nell’applicazione dell’art. 1218 cod. civ.

L’art. 1228 cod. civ. riguarda la responsabilità per fatto degli ausiliari.

Il legislatore ha così precisato che il medico che adempie all’obbligazione della struttura agisce quale ausiliario.

Ne deriva che è la struttura sanitaria a poter essere chiamata a rispondere per l’operato del medico, suo ausiliario.

L’estensione testuale della norma

La norma si applica anche quando gli esercenti la professione sanitaria sono scelti dal paziente.

Si applica pure se questi non siano dipendenti della struttura.

Essa si applica, tra l’altro, anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria.

La legge ne prevede l’applicazione anche nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica.

Viene testualmente ricompresa l’attività in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale.

Si ricomprende, altresì, la telemedicina.

Il richiamo all’art. 2043 cod. civ.

L’intervento legislativo ha inteso sgravare il medico ospedaliero dagli oneri probatori sopra indicati.

Si è fatto riferimento all’esercente la professione sanitaria menzionato nella norma qui appena riportata.

La formula legislativa è stata netta, stavolta.

Si è stabilito che questo soggetto risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.

Viene fatto salvo il caso in cui abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale.

Ci si riferisce all’obbligazione assunta direttamente col paziente.

Nella determinazione del risarcimento, si deve tener conto dell’osservanza delle linee guida ufficiali.

Se mancano le linee guida, si fa riferimento alle buone pratiche clinico-assistenziali.

La responsabilità medica resta responsabilità da inadempimento

Questo intervento legislativo non può tuttavia comportare un nuovo inquadramento della responsabilità medica.

Anni di evoluzione dottrinale e applicativa hanno comportato l’inquadramento nella responsabilità contrattuale.

Il medico non è un soggetto qualsiasi che può cagionare un danno ingiusto.

Non può paragonarsi a chi causa un sinistro stradale.

Il medico deve essere quindi trattato come un professionista.

Si tratta di un soggetto che deve adempiere a una obbligazione professionale.

La novità legislativa non può però non essere presa in considerazione.

D’altronde, stavolta la formula è chiara.

Di questo deve tener conto l’avvocato responsabilità medica.

La norma allora comporta l’assegnazione a carico paziente dell’onere della prova.

Ciò è il significato che deve attribuirsi al richiamo all’art. 2043 cod. civ.

Non è possibile applicare, ad esempio, la norma che prevede la prescrizione quinquennale.

Si applicano, infatti, per il resto, le regole della responsabilità contrattuale.

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Avv. Simona Siciliani, Cassazionista esperto in responsabilità sanitaria

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