Il divieto di concorrenza Profili applicativi sulla cessione di azienda o di ramo di azienda

Il divieto di concorrenza

Quando un soggetto cede un’azienda di sua titolarità deve, ai sensi dell’art. 2557 c.c., astenersi dallo svolgere, per un determinato periodo di tempo, attività d’impresa concorrenti con quella dell’azienda ceduta.

Si precisa che, ai fini della concorrenzialità, è necessario non soltanto che il cedente e il cessionario operino nello stesso ambito di mercato, ma anche che svolgano attività concernenti gli stessi servizi e gli stessi prodotti.

La ratio di tale divieto è strettamente connessa al concetto di clientela.

Il legislatore tende, infatti, a evitare che vi sia uno sviamento della clientela stessa mediante l’esercizio da parte del cedente di attività d’impresa concorrente con quella dell’azienda ceduta.

La durata del divieto

La durata del divieto previsto dalla legge è di 5 anni.

La scelta deriva da un bilanciamento fra gli interessi del cedente e quelli del cessionario.

Da una parte, infatti,  il termine di 5 anni non limita eccessivamente l’esercizio della libera iniziativa economica da parte del cedente.

Dall’altra permette che il cessionario abbia il tempo di trarre profitto dall’avviamento acquistato.

Il predetto termine può essere convenzionalmente ridotto ma non superato.

Nel caso in cui nulla venga convenuto, la durata è quella, di 5 anni, stabilita dalla legge.

Se invece le parti stabiliscono una durata superiore, essa si riduce automaticamente a 5 anni.

La locuzione iniziare una nuova impresa

La giurisprudenza sostiene che tale divieto non si applichi ai casi in cui il cedente sia titolare, già al momento dell’atto di cessione, di altra azienda in cui svolga le medesime attività.

In questo caso si parla di attività preesistente, non soggetta ai limiti previsti dall’art. 2557 cod. civ.

Una fattispecie molto discussa, sia in dottrina che in giurisprudenza, è quella attinente a un’attività preesistente che però viene acquistata dal titolare dell’azienda ceduta, solo successivamente all’atto di cessione della stessa.

A tal riguardo, la dottrina più rigorosa, sul presupposto della ratio dell’istituto, afferma che si applichi la disciplina prevista dall’art. 2557 c.c.

Altra parte della dottrina afferma, invece, che la soluzione debba rinvenirsi di volta in volta valutando il caso concreto.

Quest’ultimo orientamento distingue fra acquisizione – di un’azienda preesistente concorrente con quella ceduta – per atto inter vivos e acquisizione mortis causa, escludendo solo quest’ultimo caso dall’ambito di applicazione del divieto di concorrenza.

Ulteriore ipotesi è quella concernente la cessione di un’azienda inattiva o che non sia mai stata utilizzata a fini d’impresa.

In dottrina è pacifico che in questo caso manchi il presupposto, insito nella ratio della norma. L’azienda, d’altronde, non vanta ancora una propria clientela: non si applica dunque il divieto di cui all’art. 2557 c.c.

Applicazione analogica dell’art. 2557 c.c.

La giurisprudenza, in molteplici pronunce, ha affermato che tale norma non ha natura di norma eccezionale.

È, di conseguenza, suscettibile di applicazione analogica.

Il divieto di concorrenza è stato, infatti, applicato anche ad altre fattispecie non espressamente previste dalla legge.

Si può fare l’esempio della cessione di quote di una società che, di fatto, realizzi una cessione di azienda.

L’applicazione analogica dell’art. 2557 avviene solo nel caso in cui la quota di partecipazione, successivamente ceduta dal socio, corrisponda con l’intero capitale sociale della società titolare dell’azienda, o con una parte rilevante dello stesso tale da garantire la governance.

Deve essere valutata anche la posizione rivestita nell’ambito della società dal socio uscente (cedente) al fine di verificare se abbia mai avuto piena conoscenza delle informazioni e dei segreti dell’azienda e abbia intrattenuto in prima persona rapporti con i clienti.

Quando la parte cedente è una società

Il divieto di concorrenza, ai sensi dell’art. 2557 c.c. non si estende, di norma, anche ai soci della società che aliena l’azienda.

La ratio di tale assunto è da ritrovarsi nell’autonomia patrimoniale di cui gode la società rispetto ai propri soci.

È infatti pacifico in dottrina come le situazioni giuridiche che si riferiscono alla società facciano capo ai soci, considerati non come somma di singoli soggetti ma come realtà organizzata.

Ciò risulta evidente in ambito di società di capitali dove vige un sistema di responsabilità patrimoniale perfetta, non solo per la distinta soggettività giuridica ma anche in ragione della autonoma personalità giuridica dell’ente.

Derogabilità  della disciplina

La disciplina contenuta nel primo comma dell’art. 2557 c.c., così come posto in luce dalla Corte di cassazione (Cass. 10062/2008) non persegue un interesse pubblico.

Trattasi di norma dispositiva.

È un divieto – quello del primo comma della disposizione citata – che opera ex lege ma che può essere, espressamente, escluso o limitato convenzionalmente dalle parti.

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